Rifugio Castaldi in alta Val D’ala

30 giugno – 1 luglio 2018
AG2018

La “due giorni” del CAI Alpinismo giovanile al
Rifugio Gastaldi in alta Val d’Ala

Da tempo, il CAI di Oggiono, nel programma di Alpinismo Giovanile, riservato quest’anno ai ragazzi nati tra il 2000 e il 2009, presenta escursioni da effettuarsi, per ragioni di distanza e di tempo, in due giorni successivi, per dar modo a tutti i partecipanti di vivere un’esperienza a dir poco avventurosa, cioè quella di passare una notte in un rifugio di montagna.
La scelta di quest’anno è ricaduta sul Rifugio Bartolomeo Gastaldi in alta Val d’Ala, situato a 2659 metri, nelle Valli di Lanzo (Torino), in uno degli anfiteatri naturali più belli delle Alpi Graie.
Siamo partiti con due pullman il mattino presto del sabato. Un’ottantina di persone, fra adulti, accompagnatori e ragazzi. Nonostante l’ora mattutina si intuiva in tutti l’eccitazione della gita, la curiosità di conoscere un posto nuovo, l’idea di vivere per un paio di giorni in un luogo solitario, a contatto con la natura. Il sole già alto e il cielo terso accrescevano ulteriormente la positività di quelle sensazioni.
Il viaggio è stato agevole fino a poco oltre l’abitato di Lanzo. Da lì, la strada saliva, tortuosa, con tornanti e stretti passaggi in piccoli borghi, incantevoli, con le case dai caratteristici muri in pietra a secco e i tetti in lose. Strada di montagna che ha messo a dura prova l’attenzione e l’abilità degli autisti del pullman, peraltro bravissimi a condurci fino a Pian della Mussa a quota 1850 metri, un altopiano insinuato fra alte cime, ricco di corsi d’acqua, torrenti e cascate. L’acqua è gelida, grigiastra, color del ghiaccio e delle pietre. Difatti, la lingua di un nevaio giunge fin lì, ma non meraviglia, perché, nonostante la stagione estiva, le montagne che fanno corollario alla valle, sono ancora tutte innevate, effetto di una passata stagione invernale copiosa di neve.
Pian della Mussa è la base di partenza per la nostra meta: il rifugio Gastaldi. Sentiero segnalato CAI 222. Dislivello 809 metri. Non male, perché il sentiero si inerpica immediatamente, ripido, mettendo in difficoltà i meno allenati. Occorre rompere il fiato, ma anche alle gambe serve il giusto ritmo. Il serpentone colorato sale, snodandosi fra le rocce. Davanti i bambini con gli accompagnatori del CAI, dietro gli adulti. Costatiamo che i bambini quando sono in gruppo, camminano, veloci, hanno un buon passo, al contrario di quando si tenta di portarli a camminare da soli, dove riescono a trasformare semplici passeggiate famigliari in tormenti conditi di lagne e insofferenze.  Evidentemente ognuno ha il suo passo. In questi momenti capisci che andare in montagna, nonostante la compagnia, sei da solo, con il tuo fiato, le tue gambe, il tuo cervello. Devi camminare e basta, un passo dopo l’altro. è inutile guardare la cima, che sembra sempre lontana. Meglio concentrarsi sui propri passi, guardare in basso, i piedi, il sasso giusto da calcare. Di sicuro eviti di inciampare, di cadere.
Stare in gruppo invece da sicurezza. La montagna è affascinante, si ama, ma va affrontata con rispetto. A volte gli incidenti capitano  soprattutto per sottovalutazione o anche per cause sfortunate. Avere degli accompagnatori esperti che ti mostrano il pericolo, oppure tendono una corda sul nevaio ripido, a cui aggrapparsi, per evitare di scivolare, acuiscono l’attenzione, ti proteggono in un certo senso, ti danno coraggio. Un po’ di paura nei passaggi difficili c’è sempre, guai se non ci fosse. Poi si supera, anche se è proprio in questi attimi che il pensiero corre a qualche amico, amica, che non c’è più, elabora un dolore latente. Io penso sempre a Milena. È l’occasione per una preghiera.

Quando finisce il sentiero irto fra le rocce la meta è vicina. Si cammina in piano, nella neve. La pista si intuisce dalle orme lasciate dagli scarponi.  Il rifugio è una struttura grigia su tre piani. Le imposte rosse danno un tocco di colore. Lo spettacolo è impareggiabile. Il cielo è di un azzurro intenso. Di fronte abbiamo il ghiacciaio della Bessanese. Siamo circondati dalle montagne, la neve è ovunque e pare di essere sul fondo di un antico lago, di un cratere. Ti rendi conto che il Paradiso è sotto i nostri piedi e sopra le nostre teste. Mio Dio che bello!
Prendiamo possesso dell’intero rifugio. Non credo possa ospitare altre persone oltre noi. La struttura è stata aperta solo il giorno prima che arrivassimo. Il disagio è notevole, la corrente elettrica è prodotta dai pannelli solari, l’acqua è razionata, non c’è la televisione, internet non funziona. Riflettiamo su certe comodità di cui spesso abusiamo nella vita quotidiana, o sulle condizioni di vita del passato. La verità è che per un paio di giorni non muore nessuno. Utilizzeremo il cellulare solo per fare fotografie, finché sarà carico. È un’occasione unica per parlare, discutere, farsi compagnia. I bambini con la neve, non hanno bisogno d’altro per divertirsi. Andremo a letto presto, dopo cena. Sembra che non venga mai buio. Una famiglia di stambecchi, con possenti corna scende da un crinale, in cerca di cibo o di un riparo. Ci sorprende. Scattiamo fotografie. Si avvicinano incuranti della nostra presenza, altrettanto curiosi, senza fotografarci. Forse siamo davvero nel paradiso terrestre.

I bambini pregustano una nottata folle. Rimane negli intenti, la fatica accumulata per la salita fa il resto. Certo che l’idea di lavarsi sommariamente, mani, faccia, denti compresi, senza rimbrotti dei genitori, seppure per un solo giorno, è allettante. L’acqua è gelata. Provare per credere.

Mentre sono in bagno, in equilibrio precario sulla turca con un secchiello d’acqua per ripulire dopo, mi viene in mente una frase di Mauro Corona: «La montagna insegna a vivere! L’ho udito spesso, ma non è vero. C’è gente che frequenta i monti da una vita e non ha imparato un tubo! La montagna al massimo regala emozioni a chi è sensibile ed educato.» Quanta saggezza, quanta verità! L’ho capita nel momento del bisogno.

Notte stupenda al piano superiore di una fila di letti a castello nello stanzone del vecchio rifugio, costruito nel 1880, quando l’alpinismo muoveva i primi passi. I fortunati che dormiranno nello storico edificio sono una ventina. Il locale è umido e non c’è luce. Ci facciamo una risata. Un’avventura da raccontare ai posteri. Il resto della truppa è alloggiato nel nuovo rifugio, dotato di tutti i confort?! Un po’ li invidiamo.

Il mattino seguente, le pozze d’acqua ghiacciate sono la dimostrazione che di notte la temperatura è scesa sotto lo zero, ma il buon Dio ci concede un’altra giornata stupenda. Il sole scalda e la neve perde compattezza. Ideale per una lunga passeggiata all’aria aperta, con i bambini, sul nevaio. Bastano una maglietta con le maniche corte, un paio di ghette per non far entrare neve negli scarponi e gli occhiali da sole. Il riverbero del sole sulla neve è accecante. Gli ingredienti per divertirsi non mancano. Il resto lo fa l’ampiezza del panorama, l’ambiente selvaggio e l’imponenza delle cime. La superficie del  nevaio è ondulata, con onde di neve scolpite dalle variazioni di temperatura. Il caldo disgela e il freddo cristallizza. Scopriamo cascate che sembrano uscire dal nulla, torrenti rumorosi che improvvisamente si nascondono in tunnel sotterranei ghiacciati, poi riaffiorano e sfociano in laghetti, specchi di cielo e cime innevate. È bello capire ciò che si vede: la formazione delle rocce, l’effetto dei ghiacciai che si ritirano. Ciò che impressiona è il silenzio. Una cosa è certa, la bellezza della natura, l’infinito, l’altitudine, ci avvicinano a Dio, al Creatore di tanta bellezza. Spontaneamente ci prendiamo per mano e preghiamo: Padre nostro che sei nei cieli…
Nel pomeriggio abbiamo preso la via del ritorno. Siamo ritornati stanchi alla base, ma grazie a Dio senza incidenti. E questo è importante perché, sarete d’accordo con me, il punto più alto di una scalata è solo la metà del viaggio, che si completa in fondo alla discesa.

Giando

Condividi i nostri articoli
Facebook