Rifugio Castaldi in alta Val D’ala

30 giugno – 1 luglio 2018
AG2018

La “due giorni” del CAI Alpinismo giovanile al
Rifugio Gastaldi in alta Val d’Ala

Da tempo, il CAI di Oggiono, nel programma di Alpinismo Giovanile, riservato quest’anno ai ragazzi nati tra il 2000 e il 2009, presenta escursioni da effettuarsi, per ragioni di distanza e di tempo, in due giorni successivi, per dar modo a tutti i partecipanti di vivere un’esperienza a dir poco avventurosa, cioè quella di passare una notte in un rifugio di montagna.
La scelta di quest’anno è ricaduta sul Rifugio Bartolomeo Gastaldi in alta Val d’Ala, situato a 2659 metri, nelle Valli di Lanzo (Torino), in uno degli anfiteatri naturali più belli delle Alpi Graie.
Siamo partiti con due pullman il mattino presto del sabato. Un’ottantina di persone, fra adulti, accompagnatori e ragazzi. Nonostante l’ora mattutina si intuiva in tutti l’eccitazione della gita, la curiosità di conoscere un posto nuovo, l’idea di vivere per un paio di giorni in un luogo solitario, a contatto con la natura. Il sole già alto e il cielo terso accrescevano ulteriormente la positività di quelle sensazioni.
Il viaggio è stato agevole fino a poco oltre l’abitato di Lanzo. Da lì, la strada saliva, tortuosa, con tornanti e stretti passaggi in piccoli borghi, incantevoli, con le case dai caratteristici muri in pietra a secco e i tetti in lose. Strada di montagna che ha messo a dura prova l’attenzione e l’abilità degli autisti del pullman, peraltro bravissimi a condurci fino a Pian della Mussa a quota 1850 metri, un altopiano insinuato fra alte cime, ricco di corsi d’acqua, torrenti e cascate. L’acqua è gelida, grigiastra, color del ghiaccio e delle pietre. Difatti, la lingua di un nevaio giunge fin lì, ma non meraviglia, perché, nonostante la stagione estiva, le montagne che fanno corollario alla valle, sono ancora tutte innevate, effetto di una passata stagione invernale copiosa di neve.
Pian della Mussa è la base di partenza per la nostra meta: il rifugio Gastaldi. Sentiero segnalato CAI 222. Dislivello 809 metri. Non male, perché il sentiero si inerpica immediatamente, ripido, mettendo in difficoltà i meno allenati. Occorre rompere il fiato, ma anche alle gambe serve il giusto ritmo. Il serpentone colorato sale, snodandosi fra le rocce. Davanti i bambini con gli accompagnatori del CAI, dietro gli adulti. Costatiamo che i bambini quando sono in gruppo, camminano, veloci, hanno un buon passo, al contrario di quando si tenta di portarli a camminare da soli, dove riescono a trasformare semplici passeggiate famigliari in tormenti conditi di lagne e insofferenze.  Evidentemente ognuno ha il suo passo. In questi momenti capisci che andare in montagna, nonostante la compagnia, sei da solo, con il tuo fiato, le tue gambe, il tuo cervello. Devi camminare e basta, un passo dopo l’altro. è inutile guardare la cima, che sembra sempre lontana. Meglio concentrarsi sui propri passi, guardare in basso, i piedi, il sasso giusto da calcare. Di sicuro eviti di inciampare, di cadere.
Stare in gruppo invece da sicurezza. La montagna è affascinante, si ama, ma va affrontata con rispetto. A volte gli incidenti capitano  soprattutto per sottovalutazione o anche per cause sfortunate. Avere degli accompagnatori esperti che ti mostrano il pericolo, oppure tendono una corda sul nevaio ripido, a cui aggrapparsi, per evitare di scivolare, acuiscono l’attenzione, ti proteggono in un certo senso, ti danno coraggio. Un po’ di paura nei passaggi difficili c’è sempre, guai se non ci fosse. Poi si supera, anche se è proprio in questi attimi che il pensiero corre a qualche amico, amica, che non c’è più, elabora un dolore latente. Io penso sempre a Milena. È l’occasione per una preghiera.

Quando finisce il sentiero irto fra le rocce la meta è vicina. Si cammina in piano, nella neve. La pista si intuisce dalle orme lasciate dagli scarponi.  Il rifugio è una struttura grigia su tre piani. Le imposte rosse danno un tocco di colore. Lo spettacolo è impareggiabile. Il cielo è di un azzurro intenso. Di fronte abbiamo il ghiacciaio della Bessanese. Siamo circondati dalle montagne, la neve è ovunque e pare di essere sul fondo di un antico lago, di un cratere. Ti rendi conto che il Paradiso è sotto i nostri piedi e sopra le nostre teste. Mio Dio che bello!
Prendiamo possesso dell’intero rifugio. Non credo possa ospitare altre persone oltre noi. La struttura è stata aperta solo il giorno prima che arrivassimo. Il disagio è notevole, la corrente elettrica è prodotta dai pannelli solari, l’acqua è razionata, non c’è la televisione, internet non funziona. Riflettiamo su certe comodità di cui spesso abusiamo nella vita quotidiana, o sulle condizioni di vita del passato. La verità è che per un paio di giorni non muore nessuno. Utilizzeremo il cellulare solo per fare fotografie, finché sarà carico. È un’occasione unica per parlare, discutere, farsi compagnia. I bambini con la neve, non hanno bisogno d’altro per divertirsi. Andremo a letto presto, dopo cena. Sembra che non venga mai buio. Una famiglia di stambecchi, con possenti corna scende da un crinale, in cerca di cibo o di un riparo. Ci sorprende. Scattiamo fotografie. Si avvicinano incuranti della nostra presenza, altrettanto curiosi, senza fotografarci. Forse siamo davvero nel paradiso terrestre.

I bambini pregustano una nottata folle. Rimane negli intenti, la fatica accumulata per la salita fa il resto. Certo che l’idea di lavarsi sommariamente, mani, faccia, denti compresi, senza rimbrotti dei genitori, seppure per un solo giorno, è allettante. L’acqua è gelata. Provare per credere.

Mentre sono in bagno, in equilibrio precario sulla turca con un secchiello d’acqua per ripulire dopo, mi viene in mente una frase di Mauro Corona: «La montagna insegna a vivere! L’ho udito spesso, ma non è vero. C’è gente che frequenta i monti da una vita e non ha imparato un tubo! La montagna al massimo regala emozioni a chi è sensibile ed educato.» Quanta saggezza, quanta verità! L’ho capita nel momento del bisogno.

Notte stupenda al piano superiore di una fila di letti a castello nello stanzone del vecchio rifugio, costruito nel 1880, quando l’alpinismo muoveva i primi passi. I fortunati che dormiranno nello storico edificio sono una ventina. Il locale è umido e non c’è luce. Ci facciamo una risata. Un’avventura da raccontare ai posteri. Il resto della truppa è alloggiato nel nuovo rifugio, dotato di tutti i confort?! Un po’ li invidiamo.

Il mattino seguente, le pozze d’acqua ghiacciate sono la dimostrazione che di notte la temperatura è scesa sotto lo zero, ma il buon Dio ci concede un’altra giornata stupenda. Il sole scalda e la neve perde compattezza. Ideale per una lunga passeggiata all’aria aperta, con i bambini, sul nevaio. Bastano una maglietta con le maniche corte, un paio di ghette per non far entrare neve negli scarponi e gli occhiali da sole. Il riverbero del sole sulla neve è accecante. Gli ingredienti per divertirsi non mancano. Il resto lo fa l’ampiezza del panorama, l’ambiente selvaggio e l’imponenza delle cime. La superficie del  nevaio è ondulata, con onde di neve scolpite dalle variazioni di temperatura. Il caldo disgela e il freddo cristallizza. Scopriamo cascate che sembrano uscire dal nulla, torrenti rumorosi che improvvisamente si nascondono in tunnel sotterranei ghiacciati, poi riaffiorano e sfociano in laghetti, specchi di cielo e cime innevate. È bello capire ciò che si vede: la formazione delle rocce, l’effetto dei ghiacciai che si ritirano. Ciò che impressiona è il silenzio. Una cosa è certa, la bellezza della natura, l’infinito, l’altitudine, ci avvicinano a Dio, al Creatore di tanta bellezza. Spontaneamente ci prendiamo per mano e preghiamo: Padre nostro che sei nei cieli…
Nel pomeriggio abbiamo preso la via del ritorno. Siamo ritornati stanchi alla base, ma grazie a Dio senza incidenti. E questo è importante perché, sarete d’accordo con me, il punto più alto di una scalata è solo la metà del viaggio, che si completa in fondo alla discesa.

Giando

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Valle Ventina

10 giugno 2018
AG2018

VALMALENCO: CHIAREGGIO – RIFUGIO GERLI PORRO – “SENTIERO DEL LARICE MILLENARIO”

Partiamo da Chiareggio e, dopo aver attraversato il torrente, ci dividiamo in due gruppi: ognuno percorre sentieri differenti per arrivare alla stessa meta, come nella vita no?

Un gruppo sale verso il lago Pirola e l’altro raggiunge il rifugio Gerli Porro. Chi arriva per la prima volta rimane estasiato da ciò che vede: una ampia valle dominata da un lato dallo splendido rifugio, dall’altro dall’ahimè non più imponente, ma ancora colmo di fascino, ghiacciaio del Ventina. Chi c’è già stato riscopre la bellezza di un paesaggio che non ci si stanca mai di apprezzare, sì è un posto davvero magico!

Se volessimo trovare delle parole significative per oggi potremmo dire “Natura” e “Storia”. Infatti subito percorriamo il “Sentiero del larice millenario”, un albero sopravvissuto per oltre 1000 anni alle condizioni severe dell’alta quota.

Misurando i suoi anelli, attraverso degli studi di alcuni ricercatori delle università di Padova, Pavia e Torino, si possono notare anni positivi in cui la pianta è riuscita a formare anelli ampi e altri negativi in cui gli anelli sono proprio molto stretti che corrispondono ad annate particolarmente difficili con agenti atmosferici sfavorevoli o semplicemente con l’intervento di insetti che, nutrendosi delle sue foglie, l’hanno completamente spogliato.

Il parallelo tra questo essere vivente vegetale e la nostra vita viene da sé. Anche la vita di ognuno di noi è un’alternanza di momenti facili e difficili, ma che ci permettono di crescere e di sopravvivere con forza d’animo a ciò che ci capita di bello o meno.

Certo tutti si aspettavano una pianta speciale, gigantesca, con un tronco maestoso, una chioma folta e delle radici profonde. Ci troviamo davanti un albero un po’ come tutti gli altri, neanche molto grande. Se non ci fosse stato un cartello informativo, neanche l’avremmo riconosciuto.

Che bell’insegnamento per tutti noi che a volte crediamo che, per avere successo nella vita occorre per forza essere dei  “GRANDI”, nella scuola, nello sport, nel lavoro…. Certo avere delle mete ambiziose è legittimo, ma a volte ci dimentichiamo che essere “GRANDI” può voler dire anche sapersi relazionare nel modo giusto con gli altri, mettersi nei loro panni, fare un passo indietro per affrontare insieme le difficoltà, stare in silenzio ad ascoltare.

E allora un particolare ringraziamento a questa natura che, anche senza parole, ci ha parlato anche oggi fornendoci un GRANDE INSEGNAMENTO!!

Claudia

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Monte Resegone

27 maggio 2018

AG2018

MONTE RESEGONE – RIFUGIO AZZONI

QUEL RAMO DEL LAGO DI COMO, CHE VOLGE A MEZZOGIORNO, TRA DUE CATENE NON INTERROTTE DI MONTI……

 « La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di san Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. »

Ecco come Alessandro Manzoni descrive la nostra bellissima montagna.

Qualche informazione per noi che abitiamo qui da sempre e per coloro che sono nuovi di questi posti.

Il Resegone, dall’altitudine di 1875 metri s.l.m. fa parte delle Prealpi Orobie Bergamasche. Si trova sul confine tra la provincia di Bergamo (versante più dolce tra la val Imagna e la val Taleggio) e quella di Lecco (versante più aspro e scosceso). In dialetto lecchese Resegun e in dialetto bergamasco Resegù, deve il suo nome alla forma del suo profilo, le cui 9 punte ricordano le lame di una grande sega, soprattutto se osservato dalla Brianza. Conosciuto anche con il nome di Monte Serrada che significa chiude, serra le valli circostanti.

Di recente formazione (Triassico superiore) è formato da roccia dolomia.

Molte le manifestazioni legate a questa bellissima montagna. Tra le più famose la Monza – Resegone, gara podistica a passo libero, notturna e di squadra; l’assalto al Resegone per raggiungere il rifugio Azzoni e la ResegUp con partenza da centro Lecco.

La nostra escursione non fa parte delle più famose, ma sicuramente è una delle più interessanti e suggestive.

Partiamo dal parcheggio in località Versasio, saliamo in funivia verso i Piani d’Erna per raggiungere passo dopo passo il rifugio Azzoni e da lì la croce. Purtroppo la nebbia in vetta non ci permette di godere del bellissimo panorama del nostro territorio, non ci resta che immaginare la città di Lecco, il versante bergamasco, i laghi e le cime circostanti …..sarà uno stimolo per tornarci ancora.

Scendiamo poi dal sentiero che ci porta al passo del Giuf attraversando la località Forbesette.

Come sempre la giornata è allietata dalla spensieratezza e dalla simpatia dei nostri giovani escursionisti in erba che, nonostante la fatica, non si stancano mai di raccontarsi le loro avventure e di scambiarsi le loro idee su……cose da bambini!

Permettetemi di esprimere un ricordo personale, ma sicuramente condiviso da tutti noi a due amici che ora sorridono osservando il lungo serpente colorato da magliette gialle, rosse, rosa…

Ciao Milly, ciao Battista!!!!

Claudia

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Tre Corni di Canzo

13 maggio 2018
AG2018

TRE CORNI DI CANZO: RIFUGIO SEV, SALITA AL CORNO, SENTIERO SPIRITO DEL BOSCO

La stessa esperienza vista da tre punti di vista diversi, ognuno con la sua originalità e specificità: un ragazzo, due giovani accompagnatori, un genitore.

Rifugio SEV e “sentiero spirito del bosco”

Dopo aver percorso un tratto di strada iniziale, siamo passati al sentiero abbastanza ripido e, dopo 3 ore e mezza circa, siamo giunti al “rifugio SEV”.
Abbiamo pranzato e successivamente abbiamo giocato; i maschi a calcio mentre le femmine a tiro alla corda, poi sia piccoli che grandi abbiamo giocato a palla due fuochi.
Finiti i giochi siamo scesi fino a III alpe dove abbiamo iniziato a percorrere il “Sentiero dello Spirito del Bosco”; qua c’erano molte sculture di legno: casettine, poltrone, animali (tartarughe, draghi…), persone ed elfi.
Infine siamo tornati alle nostre macchine passando da I alpe.
È stata una bella giornata e mi sono divertito molto soprattutto la passeggiata nello “Sentiero dello Spirito del Bosco”.

Stefano
Un giovane


Viandanti sul mare di nebbia

Una nuvolosa giornata sopra al nostro lago, questo è lo scenario che ci si è presentato una volta raggiunta la cresta del corno occidentale, che il gruppo CAI dei ragazzi più grandi e accompagnatori ha affrontato durante l’escursione di domenica 13 maggio.
La salita al corno è stata piuttosto impegnativa, sia per le condizioni climatiche, con forte vento e nuvole a bassa quota, sia per la difficoltà del percorso (da ricordare classificato come EE, per escursionisti esperti); quest’ultimo è molto esposto, con punti nei quali si necessita l’aiuto di catene per superare le rocce più scoscese.
Dopo la traversata siamo potuti scendere verso il rifugio SEV, percorrendo un sentiero abbastanza ripido e impervio, reso particolarmente scivoloso dal fango e dalla pioggia caduta in nottata.
Una volta pranzato nel prato con i bambini, siamo scesi verso il Terz’Alpe da dove abbiamo poi imboccato il sentiero degli spiriti del bosco, ovvero un percorso costellato di statue e opere artistiche, completamente intagliate nel legno, raffiguranti animali e varie figure fantastiche, come Folletti, streghe e persino draghi; dobbiamo riconoscere che i ragazzi si sono divertiti molto!
È stata un’esperienza diversa dal solito, sicuramente molto positiva, dove anche noi abbiamo trovato qualche difficoltà nonostante i diversi anni di trekking alle spalle; questo tipo di escursione è stato introdotto dalla sezione CAI di Oggiono per portare un po’ di novità: per i membri più grandi con l’ascesa alla vetta e per i più piccoli con il percorso nel bosco.
Ringraziamo gli accompagnatori per aver reso possibile una giornata in montagna in compagnia di tanti amici, e i ragazzi per aver partecipato con energia ed entusiasmo.

Ci vediamo alla prossima gita!
Marco e Riccardo

Due giovani accompagnatori


Mamme in vetta

Domenica è stata la giornata delle domande dalle risposte lievi, la giornata delle mamme in vetta, la giornata dei sentieri facili anzi lisci… come l’olio…
Ho in testa alcune domande fin da piccola: perché qui attorno le montagne saltano su dal terreno in forme così strane, una a seghetto, una a triangolo isoscele, l’altra scaleno, una con i bernoccoli, perché tre bernoccoli, non due, quattro o cinque? Perché sono detti corni, hanno la punta? Come fai a stare in equilibrio sulla sommità appuntita di un corno?
Quando il mio compagno di camminate – quando non so, ma so che succederà – mi vorrà annunciare che seguirà il gruppo su uno dei corni? Ma quale? Sono diversi, fa differenza?
Sono una nota fifona delle altezze: mi piace poter dare una misura alle distanze che mi separano dalle cose e con i fondovalle non riesco mai prima che mi assalga quel sentimento di piccolezza come può avere una formica mentre si sente guardata mentre passa su uno stelo nel prato.
Con qualcosa di simile, senza intenzione, ci sberleffa Giovanni quando saliamo dal rifugio Terz’Alpe nel bosco, su per il sentiero vischioso, chiacchierando di come dovremmo “riporci in una teca” per sopravvivere a questo mondo complicato…ma in fondo perché? Se siamo un puntino sulla linea del tempo delle ere, potremmo non essere così preziosi…
Intravvediamo alla nostra destra un gruppo di coraggiosi arrampicatori con caschetto che sale sulla parete ripida di roccia. Così si sale sulla punta di un corno liscio, è ovvio, pensavo.
Aspetto che da un momento all’altro ci si pari di fronte un muro di pietra come quello, invece si apre una piccola sella e scopro che tutt’attorno è una leggera nube che ci ha raggiunto fin lì.
L’attacco del corno è poco distante. Dopo un fresco praticello, un ghiaione, non così grosso da meritarsi il nome, che semina il primo sconforto di fronte alla fatica, il sentiero si avvolge dietro l’ultimo lembo di boschetto e ci troviamo di fronte le rocce, quelle brulle e grigie chiare – fatte di calcare, non di granito – che riconosco in quelle che vedo tutti i giorni guidando versa casa un migliaio di metri più in basso.
Il sentiero si è fatto costa, ma la nebbiolina si è sparsa anche qui e di fondo valle non c’è nemmeno l’idea… Controcorrente, gioisco: è tutto perfetto!
Allora vado avanti accompagnata dai consigli di Flavio e di Beppe che ci vogliono riportare a casa tutti interi e ci aiutano a passare l’anticima, poi qualche roccetta infossata e, infine, ecco che ci si può distendere in posizione eretta, di fronte a una lastra scura del CAI e una croce di metallo, tipo pilone, poco cresciuta per essere una croce di vetta.
Sulla destra, sul pendio, delle peonie, di un fucsia succulento come quello di un lampone, cresciute su una zolla di terra abbandonata dal gelo qualche settimana fa.
Ecco l’omaggio floreale per le due mamme che, sfidando le usanze sedentarie di una delle feste più in voga del mondo, sono arrivate quassù, spinte dalla curiosità.
Qualcuno protesta perché in montagna l’appetito viene alle 12, massimo 12,15 e siamo ancora alla seconda posa di gruppo e distanti dal bivacco dei più giovani che non ci hanno seguito.
…pare ci sia sempre un sentiero facile facile che parte dalle vette per consegnarti felice a un fresco prato apparecchiato con le migliori vivande di montagna e anche dal corno se ne vedono, ma a ricordarsi adesso dov’è l’attacco…
Dopo altre roccette, dopo una foresta di radici infangate, ecco il rifugio SEV, dove alcuni ci guardano con quello sguardo pacifico di chi sta digerendo dopo aver divorato a sazietà il miglior pane e companatico del mondo.
Li raggiungiamo a mangiare pane e confetti perché oggi, in altura, si festeggia anche un anniversario.

Teresa
Una mamma

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Viaggio al centro della terra

29 aprile 2018

AG2018

GROTTE DI ZELBIO: VIAGGIO AL CENTRO DELLA TERRA

Domenica 29 aprile si è svolta la seconda uscita del corso di escursionismo giovanile di Oggiono che ha avuto una meta speciale: la grotta di Zelbio.

Si tratta di un sistema carsico di ben 60 km circa di grotte e gallerie scoperto dagli speleologi di Erba sotto il monte San Primo.

Il gruppo era formato da 50 persone tra ragazzi e adulti. Ci siamo addentrati nella grotta percorrendo circa 70 metri di profondità con una pendenza rilevante.

Tra cunicoli, rocce sporgenti, gradini scivolosi e anche ….un po’ di timore per l’incognito, siamo riusciti a raggiungere la meta decisa dagli speleologi, dove abbiamo vissuto l’esperienza di un minuto di silenzio e di completa oscurità: non capita tutti i giorni!

La risalita è stata più veloce anche se, vedere il punto da raggiungere sopra la tua testa non era certo confortante: riuscirò a passare?

Alla fine ce l’abbiamo fatta tutti. Siamo rimasti molto soddisfatti di noi stessi, riconoscenti alle guide Roberto e Giuseppe, grati ai giovani Davide e Marta che hanno appena terminato in tenera età il primo corso di approccio alla speleologia.

Le testimonianze di tre speleologi in erba parlano da sé:

Federico:  ”E’ stato bellissimo perché ho scalato, sono andato 70 metri sotto terra e, spegnendo le luci, ho sperimentato il buio totale. Il the che ci ha offerto Roberto in grotta era buonissimo. Bravi Marta e Davide che ci hanno spiegato in cosa consiste il corso di speleologia.”

Alberto: “Si scivolava tanto. Mi è piaciuto quando abbiamo spento le luci e abbiamo fatto silenzio: non siamo abituati. Sono passato anche sotto ad un sasso. All’inizio appena entrato avevo un po’ di paura, ma è passata subito.”

Enrico: “E’ stato bellissimo entrare nei buchi sotto i sassi, a 70 metri sotto terra come dei veri esploratori. Mi è piaciuto quando abbiamo spento tutte le luci. La discesa mi sembrava difficile, ma quando salivo ho scoperto che non lo era. Ho avuto un po’ di paura all’inizio quando ho visto i buchi, ma poi basta!”

Un’esperienza che resterà per sempre nella memoria di tutti noi.

Claudia

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Riflessione di due genitori

Riflessione di due genitori

8 aprile 2018

AG2018
Sentieri del Monte di Brianza: Oggiono – Consonno

Una torre.

Una vecchia torre in mezzo ai boschi, non è proprio una torre, è ……………

Estranea al posto, estranea alla collina, sorprende.

Ci arriviamo dopo mulattiere, sentieri, scalinate. Panorami familiari, nuovi scorci, Imberido, Bartesate. Ma una torre così….?

Ci passiamo sotto, con le nostre voci, i giochi, il pranzo, riempiamo gli spazi, scacciamo la malinconia del luogo.

E’ un minareto, è qui per un’idea, una fantasia. Il tempo ha cambiato le cose, adesso la torre aspetta ………. noi non l’immaginavamo così.

Ce ne andiamo. Altri arrivano, trovano la malinconia, i vandalismi, dovranno metterci qualcosa loro, per non sentire il vuoto. Ma bisogna saperci fare! E noi siamo ragazzi in gamba.

Torniamo nel bosco, col cammino rinforziamo le nostre amicizie, tortuose vie ci riportano in basso. Misteriosi percorsi che ci svelano gli infallibili accompagnatori.

Una nuova esperienza per molti, per noi ragazzi una bella opportunità, si sentono nuove amicizie e relazioni, c’è accoglienza e disponibilità, voglia di stare insieme, si sente l’amore per la montagna, per la natura e per il suo rispetto!

Adesso aspettiamo la prossima avventura.

Due genitori

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Grotte di Borgio Verezzi EG 2017

2 settembre 2017

TRA TUFFI E SPRUZZI

Sabato 2 settembre, dopo esserci sparsi per le meritate vacanze, ci ritroviamo per la “classica gita al mare del C.A.I.”.
Partiamo sotto una pioggia scrosciante, fiduciosi che ….. ” tanto al mare non piove mai”. Appena arriviamo a Borgio Verezzi piove, ma noi iniziamo la tanto attesa visita alle famose grotte e ci sentiamo subito parte di un mondo incantato colmo di forme e colori: ancora una volta la natura supera ogni nostra immaginazione. Poi una breve camminata ci permette di raggiungere la spiaggia per goderci l’ultima giornata al mare prima di affrontare l’autunno, anche il sole ora ci fa compagnia. Subito si formano gruppi di interesse: ragazzi e ragazze in acqua accompagnati dagli occhi vigili degli accompagnatori; donne/lucertole che non si perdono per niente la possibilità di potenziare la tanto sudata abbronzatura; classici buongustai che ne approfittano per un bel piatto di spaghetti allo scoglio in un ristorantino del luogoPurtroppo però la festa dura poco; grosse nuvole all’orizzonte, in men che non si dica, ricoprono interamente il cielo ed allora …. nessun problema, ne approfittiamo per giocare a carte e per farci una bella chiacchierata. A metà pomeriggio, quando ci rendiamo conto che il sole non ci avrebbe più allietato con la sua presenza, decidiamo di farci un giro. Ci inoltriamo nelle vie di Pietra Ligure già allestite per la manifestazione dello “Street food serale” e ci sentiamo un po’ fuori luogo con i nostri zaini da montagna e il nostro abbigliamento forse un po’ troppo sportivo, ma nessun problema: gelato, farinata, focaccia ligure, sosta nella piazza principale e poi via verso il pullman.Noi del C.A.I. non ci lasciamo mai scoraggiare dagli imprevisti del tempo, in fondo era solo dal mese di marzo che non pioveva a Borgio Verezzi!!!!

Claudia

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Val Formazza EG 2017

SABATO 1 e DOMENICA 2 LUGLIO      

VAL FORMAZZA – I Rifugi del Mato Grosso

Sabato 1 luglio ore 6.30 tutti pronti per il week end CAI in Val Formazza!!!
La Val Formazza si trova a nord ovest del Lago Maggiore.
Dopo un lungo viaggio in pullman, siamo arrivati al parcheggio presso la diga “Morasco”.

Dopo aver indossato gli scarponi, con lo zaino in spalla, abbiamo iniziato la nostra salita verso il Rifugio Claudio e Bruno (vicino al confine con la Svizzera). Dopo 2 ore di cammino, ci siamo fermati per riposare e pranzare su un bel prato. Nel pomeriggio abbiamo camminato per altre due ore. Durante il tragitto abbiamo attraversato una seconda diga che costeggia il lago Sabbioni. Mentre camminavamo, in alcuni tratti, nevicava!
Arrivati al rifugio Claudio e Bruno (2710 m) noi ragazzi abbiamo giocato insieme. Ci siamo sistemati nella stanza e alle 19:30 abbiamo cenato: pasta al sugo, polenta e brasato e, come dolce, una squisita torta!
Dopo cena siamo andati nella grande camera dove, sui materassi, abbiamo giocato a carte! Alle 22 la luce è stata spenta, dai nostri accompagnatori: era arrivato il momento di dormire!! Però non sono riuscito ad addormentarmi subito perchè ero troppo emozionato: era la prima volta che dormivo in un rifugio ad alta quota!
Il mattino dopo, ci siamo svegliati verso le 7, abbiamo fatto colazione: pane e marmellata e caffè-latte o tè, che bontà!!!
Abbiamo preparato lo zaino e ci siamo messi in cammino per raggiungere il rifugio 3A a quota 2960 m. Il clima era particolarmente freddo!!! Dal rifugio, nonostante il brutto tempo, il panorama era molto suggestivo: si poteva osservare il Lago Sabbioni con alle spalle il ghiacciaio del Sabbione. Dopo una breve sosta abbiamo iniziato la discesa, abbiamo attraversato un grande nevaio (credo lungo più di 200 m).
Il primo tratto è stato impegnativo e si scivolava molto facilmente, mentre il resto è stato più semplice. Mi sono divertito tantissimo a scendere seduto sulla neve!!!
Verso le 13.00 ci siamo fermati al Rifugio Città di Busto, un luogo più riparato per mangiare perché il vento soffiava forte forte.
Dopo pranzo abbiamo ripreso la discesa e durante il tragitto mi sono divertito a raccogliere minerali di ogni colore, forma e dimensione. Alcuni erano davvero MERAVIGLIOSI!!!
Siamo arrivati al parcheggio verso le 15.30. Appena partiti con il pullman abbiamo costeggiato la cascata del Toce.
Questo week end è stato per me una bella esperienza: sia per il percorso (ad alta quota) che per essere stato molto bene con i miei compagni di viaggio (ragazzi e accompagnatori).

Stefano Longoni

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Alpe Fraina EG 2017

7 maggio 2017

ESCURSIONE ALL’ALPE FRAINA

Eh sì, oggi tocca a noi far sentire la nostra voce: ragazze e ragazzi dell’escursionismo  giovanile.

Siamo pronti, saliamo sulle auto e raggiungiamo Premana, in Valsassina. Alcuni di noi ci sono già stati, per alcuni è tutto nuovo. Attraverso una mulattiera non ripida in due ore raggiungiamo la bellissima località dell’Alpe Fraina.  Speravamo di rilassarci tra la natura, ma naturalmente gli accompagnatori hanno in serbo qualcosa: ci fanno camminare senza meta ancora per un’oretta e, al nostro ritorno, dopo aver mangiato un boccone, ci propongono i “giochi di corda”. Ci spiegano che, quando saremo grandi e vorremo affrontare dei percorsi più impegnativi, magari delle “ferrate”, occorreranno imbrago e corde e … naturalmente alcune informazioni per muoverci sempre in sicurezza.

Il ritorno avviene poi dall’altra parte della valle e, come per magia, il panorama cambia completamente permettendoci di osservare da un altro punto di vista diverso da quello del mattino, ma pur sempre bellissimo.

Nel tardo pomeriggio, stanchi ma come sempre soddisfatti, saliamo sulle auto, contenti di avere un viaggetto di più di mezz’ora che ci permette di chiacchierare del nostro livello raggiunto ai videogiochi o di schiacciare un meritatissimo pisolino.

“Mi è piaciuta molto l’esperienza delle corde che ci ha insegnato come comportarci in montagna. Sono stato molto contento quando ho oltrepassato il fiume. Ho anche visto molti quad” STEFANO

“Mi è piaciuta la giornata, soprattutto l’esperienza delle corde. E’ stato divertente” LUCA

“Non mi è piaciuto andare oltre il sentiero, anche perché ho capito subito che dovevano farci perdere tempo intanto che loro montavano il percorso delle corde” DAVIDE G.

“La giornata mi è piaciuta, soprattutto i giochi di corda e il panorama” DAVIDE T.

“Giornata bella. Bel panorama. Ci siamo divertiti a fare i giochi. Gita impegnativa, ma divertente” ANDREA e DAVIDE C.

“Molto bello il luogo, carino il gioco con le corde, bella l’esperienza nuova della discesa in corda doppia con il discensore. Unico neo: ma non c’e’ un bagno?” LAURA ed ELISA

“La camminata è stata faticosa, ma la meta appagante” ELEONORA

“Mi è piaciuto salire in alto e vedere i camosci” GIULIA

“Mi sono piaciute tutte le cose che abbiamo fatto, soprattutto la discesa con la corda. Pino, Francesco, Carlo e Beppe ci hanno spiegato bene e sono simpatici”  GRETA

ARRIVERCI ALLA PROSSIMA GITA CAI

Ragazze e ragazzi del CAI

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Sentieri del Monte di Brianza EG 2017

2 aprile 2017 – Prima uscita con “quelli del CAI” sui Sentieri del Monte di Brianza

“Andare in montagna non è solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura”.
(da Le otto montagne di Paolo Cognetti)
Domenica 2 aprile ci siamo ritrovati al parcheggio di viale Vittoria per la prima uscita stagionale del CAI giovanile.

È stato come quando si porta a casa un animale. Avete mai provato a tenere un cucciolo di cane? Lo stesso! Noi bambini che partecipavamo per la prima volta eravamo i cuccioli in questo caso. Gli accompagnatori, gli adulti, molti genitori erano la famiglia che ci accoglieva. Cercavamo di annusarci, soprattutto di conoscere gli altri cuccioli. Ogni tanto un’occhiata anche agli adulti, al papà o alla mamma, che sembrava non avessero problemi perché, riuniti in crocchi, ridevano di gusto tra di loro. Gli accompagnatori si davano da fare per mostrarsi simpatici, accoglienti e nello stesso tempo impartire delle regole che sono sempre fondamentali quando si sta in un gruppo. Alla conta ci siamo accorti, nonostante che il gruppo di persone con lo zaino in spalla sembrasse numeroso, che noi bambini eravamo in pochi. Non superavamo la ventina. È un peccato perché molti miei amici mi avevano confidato che sarebbero venuti, invece avranno preferito passare la domenica giocando con lo smartphone o ad annoiarsi in qualche centro commerciale, oppure si sono fatti impaurire da quella nuvola che promette una spruzzatina di pioggia a metà mattina. Peccato! In tanti sarebbe stato sicuramente più bello, ma forse ho capito che andare in montagna non è per tutti. È solo per i “duri”!

La prima uscita, come quando si intraprende qualsiasi attività sportiva non può essere pesantissima. Serve per farsi la gamba, per rompere il fiato. Questo è quello che ci hanno detto gli accompagnatori ed è anche la nostra speranza. Il percorso programmato tutto sommato è da definirsi facile. Avremmo scollinato sui sentieri del Monte di Brianza che, visto qui dal parcheggio è alto una spanna. Attraversiamo il paese a piedi, in fila indiana. I luoghi sono noti, sembra una scampagnata per un picnic. Dopo aver raggiunto la chiesetta del Lazzaretto, stando sul sentiero che costeggia le ultime case, alle pendici della collina, imbocchiamo la scalinata del Bosisolo che serpeggia fra le case in salita e gli orti.  Il segnalino bianco rosso N° 10 del CAI indica l’inizio del sentiero che da Oggiono, passando per Ello e Figina ci porterà alla cima del Monte Crocione. Man mano che ci si alza la vista diventa stupenda. Abbiamo l’impressione di essere su un aereo e sotto di noi ci sono i tetti del paese. La spruzzatina d’acqua prevista è un divertente fuori programma perché tutti, secondo consiglio di “quelli del CAI”, portiamo nello zaino un ombrellino che serve per ripararci. Sembriamo un serpente colorato.

Superata la frazione del Castello di Oggiono già smette di piovere e il cono del Ellocampanile romanico di Ello sbuca oltre gli alberi. Sembra indicarci la direzione da tenere. Facciamo sosta nella piazzetta della chiesa di Ello. Cediamo alla curiosità ed entriamo in chiesa perché qualcuno dice che all’interno c’è un crocefisso antico con Gesù Cristo che ha i capelli veri. Soddisfatti ripartiamo quasi subito perché è prevista un’altra breve sosta poco lontano, a “I mort de la rata”. In quel luogo sorge una cappella che, come il Lazzaretto di Oggiono, ricorda i morti della peste, un’epidemia che spesso colpiva le nostre terre nei secoli scorsi, mietendo centinaia di vittime. Erano i topi a diffondere il contagio. Ecco perché si chiama così.

Ora il sentiero diventa più ripido. Non c’è vista perché si snoda nel bosco. È comunque l’occasione per riconoscere i nomi delle piante: robinie, ciliegi selvatici, faggi, castagni. Lungo la salita incrociamo un paio di ciclisti, impegnati in discesa con la loro mountain bike.

Poco prima di Figina (comune di Galbiate) passiamo davanti ad un capanno dei cacciatori. È tutto pulito, senza rovi. Sulle piante ci sono appese delle gabbie, dove si presume vengano messi gli uccelli da richiamo. È tutto molto bello, troppo bello, se non si pensa che è solo un trucco per attirare in trappola gli uccelli inermi, ed essere catturati dai cacciatori. Poco sopra il capanno, a Polgina, termina il bosco e finalmente la veduta può spaziare lontano sul belvedere. È uno dei posti migliori per godere della vista dell’intera Brianza, dei suoi laghi e sulla cerchia alpina che il sole finalmente deciso in quel momento riempie di colori e sfumature.
FiginaLe balze alle nostre spalle ci precludono invece la vista di Figina che si trova affossata in una conca e che raggiungiamo in pochi minuti. La frazione di Figina (comune di Galbiate) si adagia a quota 627 ai piedi del monte Crocione (877 m.) in una valletta ben riparata e raccolta, particolarmente adatta alle contemplazioni e alla vita monastica. Qui la sosta è obbligata.

Le vicissitudini di questo borgo rurale, ora abbastanza decadente perché è stato abbandonato dagli ultimi contadini, affondano le radici nella storia della Brianza. Seduti sui gradini della chiesetta di San Nicola e San Sigismondo ascoltiamo la storia di questo luogo, il cui nome compare già in un documento del 1107.
Contessa, o Comitissa, moglie del fu Azzone Crasso, dona al Monastero di Cluny i suoi possedimenti compresi fra il Monte di Brianza e il luogo di Figina perché sia eretta una chiesa e una “cella” (monastero) dedicata a San Nicolao venerato a Milano.

Per la prima volta si rileva in un documento il nome Brianza, che adesso identifica un vasto territorio compreso fra le provincie di Monza, Como e Lecco. Quindi si capisce l’importanza che ha questa collina che con presunzione definiamo monte. Sapere di essere seduti su questa terra così piena di storia ci ha scaldato il cuore e inzaccherato i pantaloni. Sì perché l’Abbazia venne veramente costruita, con tanto di chiostro, e tanto di frati neri, anche se tuttora sono pochi i segni visibili, su questo terreno, come dice il nome di Figina, abbastanza fangoso, argilloso, poiché si tratta del fondo di un lago prosciugato, lascito del ritiro dei ghiacciai dell’ultima glaciazione che risale a 25-50 mila anni fa.

Dopo questo excursus geologico e con in testa i frati incappucciati di nero della badia di Figina riprendiamo il cammino risalendo il crinale del Monte Crocione. Il sentiero è argilloso e fangoso. Per un lungo tratto è preferibile camminare sul bordo piuttosto che sul fondo del sentiero, disconnesso da profondi solchi lasciati dalle ruote dei mezzi agricoli. Raggiunta la sommità, anziché prendere per la cima vera e propria deviamo verso la cascina Alpe (comune di Colle Brianza). L’edificio è un gioiellino incastonato nel verde, ai piedi di un terrazzo naturale dal quale si gode un panorama incantevole. Ci sono dei tavoli nel prato, con delle panchine, che sono un invito alla sosta. Finalmente gli accompagnatori decidono di fermarsi, con nostra somma gioia. L’ultimo pezzo di salita è stato abbastanza impegnativo, quindi riposarsi sull’erba del prato di fronte alla cascina non solo è necessario, ma indispensabile, come mettere qualcosa sotto i denti. Mangiare ha la doppia funzione di ridare energia e svuotare lo zaino che diventa più leggero. I nostri genitori e “quelli del CAI”, seduti ai tavoli, pranzano allegramente e rumorosamente. La baita è organizzata per ricevere gruppi e funge da trattoria. Mentre il gestore prepara il caffè con la moka c’è il tempo per giocare a bandiera. È vero che la meta prefissata è stata raggiunta, ma non dobbiamo farci vedere dagli adulti troppo pimpanti, altrimenti quelli sono capaci di aggiungere altri chilometri di cammino.

Ripartiamo felici con il pensiero che da ora il percorso è tutto in discesa, ma non ci illudiamo perché non per questo sarà meno faticoso. Raggiungiamo l’abitato di Ravellino, poi l’oratorio di Sant’Alessandro a Cavonio (Dolzago) fino al laghetto di Cogoredo. Adesso la stanchezza affiora visibilmente. Ci sentiamo abbastanza stanchi, ma tirare i sassi nell’acqua del lago è un’attrazione troppo forte. Diamo fondo a tutte le riserve di cibo dello zaino. Le gambe sono dure, i piedi soffrono, ma Oggiono è lì, oltre la collinetta del Trescano. Ce la faremo, ma “quelli del CAI” sembra che finora abbiano fatto una passeggiatina rilassante nel parco. Decidono che occorre fare un ultimo sforzo. E allora su fino alla Ghisolfa. Bella la cascina Ghisolfa, ma ormai le gambe vanno da sole e il cervello ha in mente solo una cosa: arrivare all’oratorio di Oggiono e mangiare, seduti, un ghiacciolo. Dal Chiaré scendiamo al piano percorrendo la scalinata del Lazzaretto. Siamo sempre più stanchi e il cervello elabora che il ghiacciolo va bene di qualsiasi colore. Poi arriviamo, esausti, ma soddisfatti. In fondo è solo la prima uscita, alla faccia della sgambata. “Quelli del CAI” ci hanno fatto morire! Un ultimo appunto. I ghiaccioli al bar dell’oratorio sono finiti. Ma non fa nulla. Noi siamo dei “duri”!

Giovanni Corti “Junior”

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